Il padre: una risorsa per lo sviluppo del bambino e la relazione madre-bambino

“Essere ricettivo non vuol dire essere donna o femminile. La ricettività è una qualità indispensabile per contenere il bambino, creargli un involucro psicologico, una pelle che lo protegga e tale compito riguarda entrambi i genitori”.

 

Come è cambiato il ruolo del padre nel corso degli anni e delle generazioni?

Sembra che dopo un periodo di latitanza dalla scena familiare la figura del padre sia ricomparsa, ancora con connotazioni imprecise e non ben definite. È diversa dalla figura del padre del passato, di una volta, visto come colui sul quale si accentrava l’autorità, la legge, la disciplina, mentre la madre dominava incontrastata nel mondo interno, degli affetti e nelle cure quotidiane al bambino. Già S. Freud, il fondatore della psicoanalisi, vedeva nel padre la rappresentazione della legge morale, della regola. Una volta eravamo abituati a sentirci dire dalla mamma: “quando viene a casa papà glielo dico cosa hai fatto” o ancora “stasera lo dico a papà” come se il padre fosse il “giudice supremo” nei confronti dei figli quando trasgrediscono le regole e fanno i capricci. Spesso nella descrizione che le persone fanno del proprio padre, quello “classico, di una volta”, riconoscono aspetti rigidi, severi, autoritari e punitivi e allora poteva essere difficile per un figlio identificarsi, e quindi prenderne il posto nella vita adulta, con una figura così autorevole, vista come irraggiungibile. Kafka nella sua “Lettera al padre” esprime pienamente questa sensazione, lodando l’aspetto di guida ma esprimendo appieno il dolore del danno interiore arrecato dal proprio padre così intransigente e severo. Questo era un aspetto del padre di un tempo, che si accompagna, nei racconti e nei ricordi dei figli, all’immagine di un maestro di vita che lasciava la traccia, la tavola delle leggi, nella vita del figlio e controbilanciava ed equilibrava il peso dell’influenza materna nello sviluppo del bambino. Oggi non è più così netta la distinzione dei ruoli, il padre e la madre, non sono più così contrapposti e complementari. Da un lato, questo cambiamento ha portato vantaggi non solo nello sviluppo del bambino ma anche all’interno della coppia genitoriale, nella quale la madre ora sente di essere più sostenuta e aiutata dal marito rispetto a quello che succedeva un tempo, dove il padre forniva l’aiuto attraverso il lavoro all’esterno ma quello che succedeva all’interno delle mura domestiche era ad appannaggio della donna. In uno scritto del 1967, Winnicott introduce l’importanza del padre nella coppia madre- bambino, dicendo che la madre è favorita in gravidanza e nell’attività di accudimento nel periodo del post-partum “se si sente sicura, se si sente amata nei suoi rapporti con il padre”. Dall’altro, c’è chi sostiene che ciò comportare il rischio che il padre si trasformi in una seconda mamma, raddoppiando la dose di cure materne (maternage) assorbite dal bambino.

Non succede sempre così, anche se alcuni pensano che oggi possa esserci la carenza di un “solido principio paterno”, regolatore della vita del bambino, fin dalla prima infanzia. Ciò è in accordo con un’altra opinione che si sta facendo strada, ovvero che il segno di un’eccessiva impronta materna si riscontri nella tendenza di molti adolescenti ad aspettarsi sempre di ottenere tutto dagli altri, dalla società come fosse una grande madre che concede senza chiedere nulla in cambio. Tutto ciò con una difficoltà ad imporre regole e divieti con il rischio di avere, un domani, un adulto che non è in grado di assumersi la sua responsabilità come individuo di fronte agli altri e non riesce a raggiungere la piena indipendenza. Sarebbe importante, forse, giungere a una figura di compromesso tra il padre severo e autoritario di un tempo e il padre di oggi che alcuni definiscono come non portatore di un solido principio paterno.

Oggi sta crescendo sempre più la consapevolezza di quanto sia importante la figura paterna che assuma una funzione di equilibrio, rispetto alla madre, nello sviluppo psicologico, affettivo e sociale del bambino. I “nuovi” papà, quelli attuali, sono consapevoli di ciò come lo sono rispetto al fatto che il modello del padre di una volta, quello che hanno avuto loro, non è più utilizzabile nel periodo attuale ed è necessario trovare altri modelli ai quali fare riferimento. Ciò si evidenzia soprattutto nella ricerca di un contatto del padre con il proprio figlio fin dai primi momenti di vita, senza aspettare la “soglia di sicurezza dei 2-3 anni” quando compare il linguaggio e nel voler partecipare alle prime cure quotidiane che, fino a poco tempo fa, erano di competenza della madre. La tendenza precoce del padre verso il bambino implica che si instauri una conoscenza più approfondita che avviene attraverso il contatto corporeo, i gesti, le sensazioni, le emozioni e non solo le parole; permette, inoltre, l’emergere di aspetti dell’uomo poco riconoscibili quali la tenerezza, la sensibilità e l’intuito.

Un uomo che si occupa concretamente del proprio bambino non abdica alla propria mascolinità, non diventa un “mammo”, ma rinforza il proprio ruolo paterno, si mette in discussione, e riesce ad affrontare le crisi e i conflitti inevitabili insiti nel passaggio da essere figlio a genitore.

Bisogna distinguere le cure quotidiane alla quali partecipa oggi il papà dal significato più profondo della funzione paterna che, come quella materna, è soprattutto psichica e mentale. In questo senso lui rappresenta, nella famiglia, il polo maschile complementare e opposto a quello femminile: è colui che separa il bambino dalla madre, sostenendolo nella ricerca dell’autonomia e dell’indipendenza. Se la madre rappresenta il mondo interno, simbiotico, il padre deve poter rappresentare per il bambino il mondo della differenziazione, della separazione dalla madre e, quindi, il mondo esterno. Il neonato potrà così, fin dall’inizio, sperimentare e godere di una presenza altra. Esiste, infatti, nel bambino piccolo, fin dalle prime settimane di vita, una predisposizione biologica a questa distinzione di ruolo, che passa attraverso soprattutto le sensazioni corporee. Entrambi i genitori possono fare le medesime cose per il bambino, ma le sensazioni che questo riceve dal contatto con loro sono differenti, ad esempio nel modo in cui viene tenuto e cullato (madre: modo di tenerlo come avvolto a sé, come fosse ancora parte di lei, come era nel grembo; padre: lo tiene in posizione eretta, più discostato da sé, sulla spalla piuttosto che sul petto) o anche nel gioco (il significato simbolico del gioco della madre potrebbe essere “stammi vicino, ti proteggo io”, mentre quello del padre “vai pure, ti sostengo io”). Il riconoscimento paterno è più legato all’agire che all’essere e contribuisce a creare l’autostima, la sicurezza nelle proprie capacità, la conferma di sé come individuo che sa vivere e deve muoversi nel mondo che lo circonda. Brazelton T. condusse numerose ricerche sul ruolo dei padri i cui risultati dimostrarono che i padri hanno con i figli piccoli un’interazione molto diversa da quella con le madri. In genere eccitano di più i bambini, hanno un rapporto più fisico e giocoso, e i bambini con loro preferiscono le attività di gioco. Il rapporto con il padre rappresenta una forma di attrazione positiva per il bambino, un esempio diverso di relazione con gli altri.

Vorrei accennare brevemente a un lavoro di Pazzagli sul travaglio della paternità.

Egli afferma che gli studi sulla paternità si sono occupati, con prevalenza, del significato del padre per il bambino e della sua rappresentazione intrapsichica negli adulti, mentre i contributi indirizzati alla comprensione del significato psicologico di divenire padri sono stati meno frequenti, almeno fino a un periodo recente. Egli parla della paternità come di un momento di crisi per l’individuo che, accanto alla tenerezza, all’amore e al desiderio di protezione verso il figlio, può provare anche sentimenti di segno contrario che possono essere schematizzati così:

  1. gelosia verso il figlio, vissuto come rivale nel rapporto con la partner, per lui vissuta come madre, che richiede e riceve da lei cure, attenzioni, tenerezza oltre che amore;
  2. aumento dell’ambivalenza verso i propri genitori, ai quali si sta sostituendo nel passaggio da figlio a padre, con la comparsa di sentimenti di sfida o, al contrario, di bisogni di ritorno a una condizione di dipendenza filiale;
  3. invidia nei confronti delle capacità generative femminili, con senso di esclusione oppure con tendenza a negare o attaccare il ruolo femminile materno;
  4. da ciò possono derivare conflitti, già presenti in precedenza e non risolti, circa la propria identità sessuale.

Alcuni di questi aspetti si ritrovano nell’inconscio, nella parte più profonda e meno accessibile della persona e per questo è anche più difficile riconoscerli: spesso emergono attraverso quella che viene definita la sindrome della couvade, sentita come evenienze somatiche che si manifestano nel padre in prossimità del parto, o attraverso la messa in atto di comportamenti, agiti, mai presentatesi prima (iperattività lavorativa o sportiva).

Tutto ciò si inserisce in una situazione psicologica molto complessa, che richiede al padre di tollerare inizialmente la frustrazione di sentirsi escluso e di essere, in qualche modo, esterno alla coppia madre-bambino, assumendo il ruolo di rappresentante del mondo esterno. Si può dire, quindi, che il padre è esterno alla coppia madre-bambino, ma assolutamente non estraneo, anzi la sua funzione è necessaria perché favorisce il contatto con la realtà esterna nel bambino, garantisce, con la sua presenza, spazi di autonomia nella mente della madre, la sostiene nel suo compito di madre e determina nel bambino una relazione diversa, triangolare, con i suoi bisogni e con l’oggetto del bisogno (madre). Questa situazione descritta come essere così complessa tende a risolversi nel corso dei primi mesi di vita del bambino, durante i quali si approfondisce la conoscenza padre-bambino.

È, altresì, importante considerare il rapporto di coppia che i genitori avevano prima della nascita di un figlio e che potrebbe sembrare compromesso soprattutto nei primi anni: il bambino sente e risente del clima della relazione tra la propria madre e il proprio padre ed è fondamentale che i genitori cerchino di recuperare l’equilibrio di coppia messo a dura prova dall’arrivo di un figlio.

In conclusione, il ruolo del padre non esiste come cosa in sé. Tale ruolo è un lungo processo dialettico di creazione e apprendimento che non finisce mai. Quello che viene chiamato il ruolo del padre è un processo in movimento e non può essere una definizione statica. Le caratteristiche psicologiche e i ruoli del padre e della madre possono variare secondo gli individui e la cultura di appartenenza, ma la loro complementarietà resta un bisogno del bambino che necessita di trovare un soddisfacimento.